
“Il dolore genera l’odio, ed il risentimento, che ci allontanano dalla Via che il Cielo ha tracciato per noi. Ci sentiamo confusi, perduti, traditi, ed è allora che gridiamo al Signore tutta la nostra disperazione: perché ci hai abbandonato?
E non ci rendiamo conto che in realtà siamo noi ad allontanarci da Lui, che Cristo cammina sempre accanto a noi e che siamo noi a non voler ascoltare la Sua voce, il grido che Egli lanciò dalla Croce, e che ora rivolge alla nostra anima: lemà sabactanì?”
(M. Ciminiello, Astragon – L’Era del Drago).
Anche se non è mai elegante autocitarsi, qualche giorno fa mi è tornato alla memoria questo passo: e mi è venuto in mente che potrebbe contenere un indizio circa la natura dell’Inferno.
Su questo luogo-non luogo si è detto tutto e il contrario di tutto; alcuni, come i Testimoni di Geova, pensano che non esista; altri, come la maggior parte dei teologi cristiani, credono che sia un luogo fisico – un luogo di dannazione eterna; i teologi ortodossi ritengono che sia una condizione reale, ma limitata nel tempo; infine, vi è chi sostiene che si tratti di una realtà effettiva – ma che sia vuoto.
La mistica novecentesca Maria Valtorta, autrice de L’Evangelo come mi è stato rivelato, riferisce che Gesù le ha confidato che, «se l’Inferno non fosse già esistito, ed esistito perfetto nei suoi tormenti, sarebbe stato creato per Giuda ancor più orrendo ed eterno» (Vol. 10). Queste parole confermerebbero l’esistenza dell’Inferno – ma non specificano quale ne sia la natura.
Personalmente, sono persuaso che l’Inferno sia qualcosa di più che il Regno delle tenebre e del fuoco eterno: credo che sia il segno del nostro allontanamento da Dio. Ogni volta che voltiamo le spalle a Lui, alla Sua parola, alla Sua salvezza, scaviamo una piccola porzione del nostro personale Inferno: e, se l’anima per sua natura anela al Sommo Bene e alla Somma Felicità, a consumarla come il più tremendo degli incendi è il dolore, autoinflitto, della distanza dall’Infinito Amore a cui tende. Come infatti sosteneva il grande G. K. Chesterton, «l’uomo non può amare le cose mortali. Può amare solo, per un istante, le cose immortali» (Eretici).
Il nostro disagio, la nostra sofferenza terrena si riflettono allora nella ferita che solo il Medico dell’anima può sanare: Medico che a Sua volta è tormentato dai nostri tormenti, poiché, essendo contemporaneamente «Colui che ama, Colui che è amato e l’Amore stesso» (M. Ciminiello, Astragon – L’Ombra dell’Aurora), non può che struggerSi per la nostra infelicità. Questo è forse il senso dell’intuizione di Nietzsche, quando affermò che anche Dio ha il Suo personale Inferno: il Suo amore per gli uomini (Così parlò Zarathustra).
Proprio per questo, Dio non Si arrenderà mai, con nessuno di noi: poiché «non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18, 14). Se poi saremo noi ad abbandonare le Sue vie, facendo violenza alla nostra stessa natura, noi stessi edificheremo il nostro Inferno: e la nostra pena deriverà proprio dal fatto che, a quel punto, saremo pienamente consapevoli di ciò che avremo perso – ma non potremo più farci niente.