
Che la politica italiana soffra della sindrome di Tafazzi è cosa nota, e non a caso questa metafora ricorre periodicamente tra colleghi e presunti tali, a partire dal momento in cui Giacomo Poretti (di Aldo, Giovanni & Giacomo) creò il personaggio che gode nel colpirsi i genitali con una bottiglia. Ma vediamo i fatti del periodo contingente.
Parlare di tafazzismo per quanto riguarda l’attuale situazione del Partito sedicente-Democratico sarebbe come sparare sulla Croce Rossa: a prescindere dal giudizio su Matteo Renzi, infatti, Pittibimbo è stato l’unico leader della Storia italica in grado di portare gli ex comunisti oltre la soglia del 40%, eppure neanche questo risultato è bastato a scongiurargli l’odio di tutti quei residuati bellici che gli rimproverano di avergli tolto il giocattolo. Una strategia che si potrebbe ancora capire se i Bersani o i D’Alema e compagnia cantante godessero dello stesso appeal del fiorentino: ma, dal momento che tutti questi leaderucchi da strapazzo sono già passati sotto la scure del popolo (che, elezioni politiche a parte, resta sovrano), le loro manovrine non rasentano semplicemente il ridicolo, lo oltrepassano e gli danno pure una pista.
Di tafazzismo poi soffre da anni il centrodestra, incapace di esprimere non solo un partito unico, ma nemmeno una coalizione coesa che sia in grado di approfittare degli errori altrui – la pistola fumante sono le ultime amministrative a Roma, in cui la Meloni e Marchini si sono vicendevolmente sottratti un ballottaggio che con un candidato unico sarebbe stato certo: a conferma del fatto che la Storia sarà pure magistra vitae, ma ha dei pessimi allievi. La dialettica a distanza tra il vecchio che, convinto di essere ancora a più di vent’anni fa, non ne vuole sapere di farsi da parte (Berlusconi) e il giovane rampante che nel tentativo di espansione al sud paga le colpe ataviche di un movimento regionale e di certi suoi giannizzeri trogloditi (Salvini) sembra la riedizione di quanto sta accadendo nel Partito sedicente-Democratico: se si vuole scopiazzare qualcun altro, si potrebbe almeno cercare un modello vincente (non solo e non necessariamente dal punto di vista elettorale). Se poi si dovessero davvero riaprire le porte ai traditori che hanno preferito la poltrona alla solidarietà dovuta al leader perseguitato dalla magistratura rossa, il suicidio sarebbe inesorabile.
Un piccolo appunto in merito alla sorta di contrappasso giuridico che sta vivendo parte della sinistra (spesso usa a maneggiare come clave le inchieste contro gli avversari politici, anche grazie alla complicità dei “giornaloni”). Non ho alcuna particolare simpatia per Pittibimbo: ma prendersela col padre per punire le “colpe” del figlio non è solo da vigliacchi, è da sciacalli – e intendo sia a livello giudiziario che, soprattutto, politico. Se poi si aggiunge il fatto che l’inchiesta la sta conducendo Woodcock, si può star certi sin d’ora che finirà col solito buco nell’acqua, ma anche in mezzo a un mare di fango in cui sguazzerà, con l’abituale sorriso che tanta pubblicità gli calamita, il magistrato anglo-napoletano.
Un discorso a parte lo merita poi l’improvvisa ossessione tafazzista per le primarie, che alcuni leader vorrebbero si svolgessero per legge. Fermo restando che un’investitura popolare aprioristica non sarebbe (stata) una cattiva idea, soprattutto in ambito coalizionale, come al solito i soloni de noantri ci arrivano quando ormai la realtà li ha belli che superati. In un sistema tripolare come l’attuale, infatti, le primarie servirebbero solo a decretare coloro che sicuramente NON andranno al Governo. A dirlo sono la legge elettorale proporzionale (storicamente, l’origine di tutti i mali) e la matematica: se i primi tre partiti/coalizioni ondeggiano intorno al 30%, nessun leader potrà ricevere l’incarico a meno di non accordarsi con uno degli esecratissimi rivali. Un’evenienza impossibile nell’odierno clima di odio reciproco incancrenito (tant’è che alcuni parlano di inciucio già ora, preventivamente), il che aprirebbe un solo possibile scenario: un passo indietro dei candidati Premier e una spintarella al Gentiloni (o al Letta) di turno, il leaderino rassicurante e, in fin dei conti, insipido, in grado di attrarre nella sua orbita tutti coloro che, per senso di responsabilità, stracceranno per l’ennesima volta il voto e il mandato popolare. Del resto, se anche le Primarie sono a perdere, almeno si portano avanti col lavoro.
La chiusura è per il tafazzismo di cui sta soffrendo già da un po’ il popolo italiano, e che potrebbe esplodere ai massimi livelli nella sciaguratissima ipotesi che gli elettori mandino al Governo i grullini (non è un refuso). Capisco perfettamente l’avversione e l’astio per i partiti tradizionali, e in parte non fatico neppure a condividerla: ma l’elogio dell’incapacità e della mediocrità non possono e non potranno mai essere la risposta. Anche perché, una volta fatto il danno, il rischio è che si protragga per cinque lunghi anni, dal momento che, com’è noto, la cosiddetta democrazia (un’utopia, e neanche delle migliori) non prevede la retromarcia: neanche quella su Roma.