Meno cinque dal voto
Qui lo dico e qui (non) lo nego: se c’è una forza politica a cui dovrebbe essere associato il termine “populismo”, è il M5S.
Cos’altro infatti è il populismo, se non (nella sua accezione negativa) l’atteggiamento politico demagogico che ha come unico scopo quello di accattivarsi il favore della gente? Ma un simile atteggiamento – così sovente accostato ai partiti di destra – non si può forse ascrivere a qualunque forza politica?
Tanto più in un momento storico come quello attuale, contrassegnato da una forte disaffezione nei confronti della partecipazione alla cosa pubblica – oltre che da un più generale crollo valoriale -, parlare alla pancia della gente sembra il modo più sicuro ed efficace per ottenere il consenso.
Se a ciò si aggiunge il fatto che “spesso in politica non conta più di tanto cosa sia effettivamente vero, ma cosa il popolo crede che sia vero” (M. Ciminiello, Il Falconiere), si delinea la cornice perfetta per l’azione politica di un movimento ipoencefalico che si limita a urlare slogan da bar e a eccitare animi frustrati contro il nemico di turno.
Perché è questo, alla fine, il segreto del successo (per ora, fortunatamente, sempre e solo presunto) dei Cinque Stalle: l’isomorfismo con i propri elettori. L’elogio della mediocrità – nemmeno aurea, per giunta.
Del resto, l’Italia che non è più da tempo la culla della civiltà, proprio a causa di questo voltafaccia ha la “cultura” che merita (passa per intellettuale illuminato chi praticamente ha scritto un solo libro, per di più in parte copiato); ha la “televisione” che merita (non a caso i programmi più visti sono le serie sulla mafia e i reality/talent che concedono un quarto d’ora di celebrità a gente senza arte né parte); e, di conseguenza, ha i “politici” che merita.
E allora viene il dubbio che possa davvero aver ragione Povia quando canta, nel suo ultimo videoclip, che “era meglio Berlusconi” (per lo meno, il Berlusconi di cinque anni fa, ante Pascalem).
E intanto siamo a cinque giorni dal voto, e a cinque mesi dal referendum. E la speranza resta quella che, per una volta, non si voti con la pancia, ma con la testa. Anche perché, adattando l’aforisma all’attualità, resta vero che “nel segreto della cabina elettorale, Dio ti vede”. Renzi, Grillo & Co. no!